mercoledì 8 febbraio 2017

La lettera di Michele:Uccidersi a trent'anni per mancanza di competitività











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Michele, i suoi genitori, il modello unico

di Alessandro Gilioli

Oggi vorrei parlarvi di Michele, anzi dei genitori di Michele.

Michele, forse l’avete sentito o letto da qualche parte, era un ragazzo di 30 anni che prima di suicidarsi ha scritto una lettera su diverse cose, tra cui il suo infinito precariato, la sua stanchezza di perdente della società, la sua lotta quotidiana per sopravvivere.

Ma più che di Michele - appunto - vorrei parlare dei suoi genitori.

Che con un atto di coraggio, di imprudenza, forse di sfida, di impudicizia hanno deciso di rendere nota la lettera del figlio, inviandola al Messaggero Veneto, e chiedendo di pubblicarla in quanto denuncia.

La morte di un figlio, che è la peggiore delle disgrazie possibili per un essere umano, a volte fa scattare una molla nei genitori, fa scattare nei loro cuori la voglia di combattere contro le cause di quella morte.

È piuttosto frequente, lo avrete notato: papà e mamme a cui muore un figlio per un incidente stradale diventano attivisti per la sicurezza stradale, quelli a cui muore un figlio per via delle droghe diventano attivisti nella lotta agli stupefacenti e così via.

Ecco, anche i genitori di Michele - chiunque essi siano, comunque si chiamino - nel pubblicare la lettera denuncia del figlio hanno deciso di farsi attivisti contro le cause della sua morte.

Quindi contro il precariato, certo, dato che il ragazzo prima di uccidersi dice di non poterne più di inutili colloqui, di rifuti, di pacche sulle spalle e via.

Ma c’è di più. c’è altro. Michele nella sua lettera racconta infatti, più ampiamente, la sua vita di sconfitto.

Sconfitto nei riconoscimenti, nella socialità, nei punti di riferimento.

Michele è stato ucciso da qualcosa di ancora più grande del precariato, che è il vincismo.

Cioè quell’ideologia secondo la quale se non sei un vincente, sei uno sfigato. Se non sei un vincente, devi soffire. Se non sei un vincente, non meriti di essere accolto dalla società.

È l’estensione del dominio e della lotta, come ha scritto Houellebecq in uno dei suoi libri più belli. È il darwinismo sociale e universale, invasivo e totalizzante. È il mantra della competizione, è la pessima storiella del leone e della gazzella che devono correre uno più in fretta dell’altro per farcela.

A un certo punto qualcuno si rompe le balle di correre. A un certo punto qualcuno si ferma, e che sia quel che sia. Tenetevelo voi questo modello di pianeta in cui se non corri e non arrivi primo non hai diritto nemmeno a una briciola di felicità. Tenetevelo voi, ha scritto Michele, «io non c’entro nulla con tutto questo», testuale, e poi: «Lo stato generale delle cose per me è inaccettabile, non intendo più farmene carico (...) Non mi faccio ricattare dal fatto che è l’unico modello possibile, il modello unico non funziona».

E ancora: «Siete voi che fate i conti con me, non io con voi».

Ha ragione, Michele, siamo noi che dobbiamo fare i conti con lui. O meglio siamo noi - noi che per ora siamo rimasti qui, nella vita - a decidere se il modello vincista da cui lui è scappato è davvero l’unico possibile, se scapparne è l’unica chance, o se è possibile provare a cambiarlo, almeno un po’.

I suoi genitori, rendendo nota la lettera e chiedendone la pubblicazione, si sono fatti attivisti di una possibilità di cambiamento, di cambiamento del modello vincista, del modello in cui a ogni cosa è esteso il dominio ed è estesa la lotta.

DALL'ESPRESSO BLOG - PIOVONO RANE

Auguro ai genitori di Michele di poter avere l'unica soddisfazione a cui tengono,ovvero d'assistere a un minimo cambiamento di una società così asfissiante nella competizione,affinchè l'estremo sacrificio delle persone come Michele abbia un senso.

Non aggiungo altro,il realismo su come è fondata l'attuale società svilirebbe quella lettera,non se lo meritano.

I.S.

iserentha@yahoo.it

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